COSA SUCCEDE AI BULLI QUANDO CRESCONO?
psicopatologia della vita quotidiana
F. è una paziente che seguo a distanza per un disturbo d’ansia da prestazione e forte insicurezza relazionale, sintomi che si sono notevolmente aggravati dopo un trauma vissuto sul posto di lavoro circa un anno fa.
La paziente aveva trovato lavoro in una nuova azienda, dove quasi subito era stata presa di mira da due colleghe che la perseguitavano con vessazioni e umiliazioni incessanti.
La situazione aveva assunto una dinamica ingravescente: dal deriderla alle spalle, scimmiottando la sua postura mentre camminava nei corridoi, le due si erano pian piano dimostrate sempre più sfrontate, arrivando addirittura a schernirla apertamente con appellativi quali “stupida” oppure a deridere il suo abbigliamento di fronte agli altri colleghi; nessuno di loro se la sentiva di prendere le sue difese, malgrado dietro le quinte, quando si trovavano da soli con lei, le dimostrassero tutta la loro compassione. Le continue prese in giro delle due erano diventate ormai motivo di divertimento e ilarità per tutti. Tormentandola in maniera sempre più accanita, le due la seguivano persino alla toilette, dove continuavano ad esternarle tutto il loro disprezzo. Erano poi passate alla diffamazione, parlando male di lei e screditando il suo lavoro con tutti i colleghi, finanche col capoufficio. Aveva così iniziato man mano a non dormire più la notte, ad avere incubi anche ad occhi aperti, ad avere attacchi di pianto e di angoscia improvvisi, sentendosi completamente annientata nella sua autostima.
In tutto questo, la paziente stava attraversando un momento personale difficile, sentendo la pressione di dover dimostrare la sua competenza nel nuovo lavoro, pressione aggravata naturalmente dallo stress per la campagna persecutoria delle due bulle. Oltretutto, trovandosi da sola in un paese straniero, F. non poteva contare nemmeno sul sostegno dei suoi familiari. La situazione diventa per lei così opprimente e devastante che decide di licenziarsi.
Sfortunatamente, a più di un anno di distanza, una delle due “bulle” che F. sperava di non dover rincontrare mai più, è stata assunta nella sua attuale azienda. Al solo pensiero di rivederla, F. è in preda al terrore: durante il giorno è colpita da improvvisi flashback che la riportano indietro a quelle crudeli umiliazioni, in cui rivive le stesse violente emozioni come se stessero accadendo di nuovo, in quello stesso istante. E` in preda al panico, il suo primo pensiero è quello di licenziarsi di nuovo e scappare, nonostante il lavoro dove si trova adesso le piaccia moltissimo.
La situazione di F. non è purtroppo un caso isolato. Al contrario, sono molti i casi di soggetti perseguitati dai bulli sul posto di lavoro. F. è normalmente una ragazza dinamica e solare, qualità che l’hanno aiutata un anno fa a trovare un altro impiego. Per molti altri meno fortunati però, lasciare il lavoro è una decisione difficilissima.
il bullo a scuola come il bullo al lavoro
Il bullismo nelle scuole è un fenomeno che da qualche anno è al centro dell’interesse dell’opinione pubblica, degli operatori che si occupano di salute mentale e dell’ istruzione in tutti i paesi europei: numerosissime campagne di sensibilizzazione, progetti di prevenzione, nascita di associazioni non profit, programmi riabilitativi si sono moltiplicati, con l’aiuto sia di donazioni che di fondi europei stanziati per combattere il fenomeno. Molto poco però si discute di bullismo in ambito lavorativo, dove viene largamente sottovalutato.
Sembrerebbe lecito ipotizzare che un bullo a scuola rimanga bullo anche da grande, a meno che non venga rieducato attraverso un programma psicologico specifico che lo renda realmente consapevole del male che infligge alle sue vittime; tuttavia, malgrado i numerosissimi studi effettuati per individuare le caratteristiche personologiche e psicologiche del bullo nelle scuole, non ci sono ad oggi studi longitudinali che dimostrano come queste personalità evolvano e agiscano da adulti. Secondo le teorie eziopatogeniche predominanti ad esempio, il bullo nelle scuole soffrirebbe tipicamente di bassa autostima, che lo porterebbe a voler affermare la sua supremazia con la violenza ed il sopruso ai danni di una vittima più debole. Il disturbo dell’attenzione e dell’iperattività (attention deficit hyperactivity disorder, ADHD) sembrerebbe inoltre un fattore predisponente al bullismo: gli studi riportano un’incidenza tra il 70% e il 50% nei ragazzi a cui viene diagnosticato l’ADHD.
meccanismi riconoscibili
Sarebbe interessante ricercare se e come questi fattori siano ancora rilevanti anche per il bullismo negli adulti. La mancanza di interesse in questo senso potrebbe essere in parte da attribuire all’impreparazione delle aziende nell’individuare questo fenomeno. Il bullismo avvelena il clima aziendale e con esso la sua sostenibilità, aumenta le assenze per malattia e i licenziamenti volontari, conduce gli impiegati al burn out.
Quello che possiamo imparare dall’esperienza di F. è soprattutto come le dinamiche del bullismo siano identiche sia a scuola che sul lavoro:
1) nessuno ha il coraggio di opporsi alle due bulle, nessuno prende le difese della vittima, tutti ignorano, o peggio, assistono divertiti alle umiliazioni, procurando così il necessario “pubblico” che serve al bullo come rinforzo per continuare a perpetuare le sue azioni persecutorie.
2) Il bullo non agisce mai da solo, ha sempre bisogno di almeno una “spalla” che lo appoggia e lo supporta in tutte le sue azioni persecutorie (ecco perché le bulle di F. erano in due): se fosse solo, il bullo rischierebbe molto probabilmente di apparire lui stesso ridicolo agli occhi degli altri
3) F. è la vittima perfetta: nuova arrivata, insicura, straniera. Il suo essere diversa fa apparire meno grave la persecuzione a cui è sottoposta; non provando sufficiente empatia nei suoi confronti, gli altri colleghi non la aiutano perché, semplicemente, “non gli assomiglia”. Numerosi studi di Neuropsicologia convogliati poi negli insegnamenti della moderna Compassion Focused Therapy, hanno infatti dimostrato come gli individui siano per loro natura molto più inclini a provare compassione ed empatia per chi gli assomiglia, anziché verso colui con cui non si identificano.
una società che incoraggia il narcisismo
Secondo molti intellettuali e sociologi contemporanei, la società moderna dei consumi e dell’immagine ha agito da catalizzatore per il diffondersi dello stile di personalità narcisista. Fin da da piccoli, i bambini vengono spinti dai genitori ad avere successo; successo interpretato come il prevalere sugli altri, l’ostentare il fatto di sentirsi speciali, migliori degli altri e di meritare pertanto anche un trattamento speciale. Il proprio divertimento e la propria supremazia devono necessariamente passare attraverso l’umiliazione ed il disprezzo degli altri, elementi che rinforzano il senso di sé, la propria efficacia e la propria autostima. Ma esistono anche degli estremi, in cui il narcisista prova un piacere sadico nell’annientare le sue vittime.
dove finisce il narcisismo comune e comincia la psicopatia?
Tra i primi ad aver osservato e diagnosticato l’esistenza di una forma di narcisismo patologico fu il grande psicologo e psicanalista ebreo-tedesco Erich Fromm, intorno alla metà degli anni sessanta. Secondo Fromm, tali personalità patologiche sono accomunate da un estremo sadismo, ovvero nel provare estremo piacere nell’arrecare sofferenza all’altro senza alcun motivo se non il proprio appagamento personale. La distruttività e l’aggressività di questi individui si esprime anche in ambito familiare, in casi estremi persino verso se stessi. Non è infrequente che alcuni genitori di questi individui si sentano inadeguati, soffrendo nel non riuscire ad adempiere il loro ruolo di educatori come dovrebbero. La loro posizione di debolezza non fa così che aggravare ancora di più il disturbo del figlio.
A partire dagli anni ottanta, anche il celebre psichiatra e psicanalista Otto Kernberg, dedica molti anni della sua carriera allo studio di queste personalità sadiche, aggressive e crudeli, coniando il termine di narcisista maligno, per distinguerlo dal narcisismo “benigno” che invece ci consente di mantenere una sana autostima, il rispetto per noi stessi e per gli altri, l’aspirazione a più alti valori morali. Il profilo del suo narcisista maligno corrisponde alla definizione a tutt’oggi inserita nel DSM5 (manuale diagnostico statistico delle malattie mentali), in cui tale disturbo di personalità è incluso nel cluster delle personalità antisociali. Tra i tratti distintivi della personalità narcisistica vengono elencati la mancanza di empatia e del senso di colpa per le sofferenze inflitte agli altri, il senso di grandiosità, l’egocentrismo. Nell’espressione di narcisismo patologico a cui abbiamo fatto riferimento fin qui è fortemente presente il tratto dell’antisocialità, ossia la tendenza a manipolare e disprezzare gli altri per trarne vantaggio o per puro piacere sadico, afinalistico.
come uscirne?
La vittima designata è solitamente una persona per qualche motivo più isolata rispetto agli altri: il bullo non può rischiare di umiliarsi lui stesso scimmiottando da solo un altro, per questo la superiorità numerica è la prima arma che usa per i suoi soprusi. Per questo è importante riuscire a trovare un appoggio, sia tra i colleghi che fuori: il sentirsi creduti, capiti e ascoltati è già un primo passo per stare meglio.
La dignità e la sana autostima sono elementi vitali per l’esistenza di una persona: per questo, essere esposti a continui soprusi e umiliazioni per un prolungato periodo di tempo può condurre ad un vero a proprio disturbo post traumatico da stress, come dimostrano i gravi sintomi neurovegetativi riportati dalla mia paziente. Questo perché l’identità stessa della persona è in pericolo. Nel momento in cui si riconoscono questi sintomi, chiedere l’aiuto di uno psicologo può essere di grande aiuto per condividere il carico emotivo, alleviarne i sintomi e cercare insieme le strategie più funzionali per combattere il bullo. L’indifferenza del proprio manager e dei colleghi è spesso il muro più duro con cui ci si scontra, per questo è importante riuscire a trovare il modo di difendersi da soli, magari rovesciando le derisioni del bullo e facendolo sembrare lui stesso quello ridicolo. Certo, per riuscire a fare questo è necessario riacquistare la padronanza di sé e delle proprie emozioni, sentirsi realmente sicuri del proprio valore e della propria superiorità. Quando siamo “centrati” e solidi interiormente, pienamente soddisfatti di chi siamo e cosa facciamo, lo emaniamo anche all’esterno, e allora diventiamo potentissimi.