Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?
Fin dai tempi più antichi abbiamo appreso che il valore più prezioso ed apprezzato nelle donne è la bellezza. Pressoché tutte le fiabe che si sono tramandate fino ad ora parlano di una protagonista di straordinaria bellezza, la cui fama oltrepassa i confini del regno. Anche i personaggi femminili che compaiono nelle narrazioni epiche come l’Iliade e l’Odissea vengono descritti e mitizzati unicamente per la loro bellezza. Ancora oggi, le donne sono esposte a questa enorme pressione sociale che le oggettivizza e le giudica per il loro aspetto fisico. Le fiabe, come la letteratura, è il riflesso della cultura condivisa del tempo: volendo venir meno alla semplicità del luogo comune secondo il quale i social media hanno amplificato l’importanza dell’immagine esteriore, specie tra i giovani, si potrebbe più analiticamente affermare che l’ideale della donna bellissima è sempre stato presente nei desideri e nelle fantasie di tutti – uomini e donne – ben prima che i social esistessero. L’unica differenza è forse che i social hanno ingannevolmente reso questo sogno molto più “raggiungibile”, così che il non raggiungerlo diventa una colpa inespiabile, una vergogna: <<la più bella di tutte esiste, non solo nelle fiabe, e posso essere io>>.
Ma cosa succede quando il potente stereotipo della donna valorizzata per la sua bellezza ineguagliabile monopolizza i pensieri degli uomini e delle donne reali? Quali sono gli effetti di questa immagine simbolica quando diventa così radicata e concreta nell’immaginario collettivo?
La regina è sola
Quando la bellezza diventa l’unico standard per misurare il proprio valore, tutti gli altri aspetti di crescita personale vengono trascurati e vincere la competizione contro tutte le altre può diventare un’ossessione. Nei casi più estremi, la competizione accende il fuoco dell’invidia e dell’odio con conseguenze distruttive, proprio come i fratelli Grimm raccontano attraverso il personaggio della regina, matrigna di Biancaneve. La competizione può spingere a sacrifici estremi per la cura dell’aspetto fisico, suscitando sentimenti di inferiorità, rabbia e risentimento quando ci si percepisce sconfitte. La competitività è purtroppo anche un sentimento che isola dagli altri, ecco perché le ragazze che soffrono di questa ossessione si sentono molto spesso sole e costantemente esposte al rischio di critiche ed attacchi da parte delle altre. Il senso di solitudine rinforza a sua volta il senso di antagonismo, così che solitudine, paura e antagonismo si susseguono in un circolo vizioso.
Ansia e depressione
Malgrado le apparenze, l’autostima di queste di queste (giovani) donne è estremamente fragile: il loro precario equilibrio può frantumarsi in un solo istante quando temono che il partner possa aver guardato un’altra, evento che vivono come un vero e proprio abbandono o un tradimento. Quando la loro mente le porta a fissarsi sul continuo paragone con le altre o con i modelli di perfezione del corpo femminile diffusi dai media, queste ragazze vivono la sconfitta in maniera amplificata, per cui possono arrivare ad ammalarsi di depressione e provare forte ansia, per paura del confronto. In particolare, l’ansia è un’emozione attivante nel ricercare compulsivamente comportamenti di compensazione per “rimediare” alla sconfitta temuta o percepita: diete ancora più ferree, ancora maggiore cura nell’abbigliamento e nel make-up, sedute di palestra ancora più intensive. I sentimenti negativi di ansia e depressione, di insoddisfazione sul proprio aspetto, si sommano così al sempre maggior numero di ore della giornata dedicate allo sforzo per migliorare il proprio aspetto fisico: come conseguenza, il tempo speso in attività piacevoli insieme agli altri viene considerevolmente diminuito, aumentando ancora di più gli effetti negativi sull’umore. Oltre a ciò, si perdono di vista altri aspetti della vita da cui poter trarre soddisfazione se venissero coltivati: come l’affermazione professionale, gli interessi culturali, la conoscenza di sé e delle proprie passioni.
Cosa mi succederà se la regina non sono io?
I pensieri ricorrenti (consci o inconsci) che hanno le donne vittime dell’ossessione per l’aspetto fisico sono in genere:
==> se non sono bella, la più bella, allora cosa sono? Chi sono?
==> gli altri si interesseranno ancora a me? Mi vorranno?
==> resterò sola?
==> cosa succederà se un’altra verrà preferita a me?
==> come farò ad essere vista dagli altri?
Quali sono gli obiettivi terapeutici?
Riuscire a ritrovare la spensieratezza del vivere per queste donne è il dono più grande. Per farlo, è necessario cercare quel filo che lungo la strada della loro esistenza si è spezzato, per poi ricollegarsi in maniera malsana all’ideale di bellezza suprema da inseguire. Il motivo che lo ha spezzato può essere un trauma relazionale, una forte delusione, la paura di essere abbandonate, il rinforzo del contesto sociale verso determinate qualità fisiche.
Dopo una corretta anamnesi e la ricostruzione di come gli eventi di vita abbiano cementato il suo modello comportamentale, la terapia mira ad aiutare il paziente a prendere consapevolezza dei nodi emotivi che lo imprigionano e del prezzo che sta pagando per mantenerli saldi.
Nel percorso terapeutico, l’EMDR può essere un potente strumento per rielaborare e “risignificare” eventi passati, modificare il presente e progettare un nuovo futuro.
Seppur non si potrà e non si vorrà forse mai distaccarsi completamente dall’interesse per la cura del proprio aspetto fisico, il riuscire a trovare un migliore equilibrio per il proprio benessere dovrebbe sempre essere l’obiettivo perseguibile. Costruire un’immagine di sé integrata e sicura è il presupposto fondamentale per riuscire a star bene con se stessi e con gli altri.