LA PAURA DELL’UOMO NERO

Alcuni di noi ricorderanno i tempi lontanissimi in cui i loro genitori erano soliti ricorrere al potente strumento deterrente dell’uomo nero per tenerci lontani dai guai o per farci ubbidire senza fare i capricci: “se ti comporti così o fai questo, arriva l’uomo nero e ti porta via”. Il terrore era assicurato, come anche la nostra assoluta obbedienza pur di scampare la minaccia dell’imminente pericolo.

Questo è un esempio perfetto della peculiare capacità di simbolizzazione che caratterizza l’essere umano, ossia letteralmente “mettere al posto di”, per cui le semplici parole “uomo nero” erano sufficienti ad evocare in noi le emozioni più terrificanti, facendoci immaginare l’aspetto del minaccioso essere oscuro. In realtà, l’uomo nero non l’avevamo mai visto, non ne avevamo mai fatto esperienza, né ci avevamo mai parlato, eppure in quegli anni della primissima infanzia non ne abbiamo mai messo in discussione l’esistenza: per noi era vero, perché potevamo pensarlo.
Crescendo ci siamo poi pian piano accorti di quanto fosse improbabile l’esistenza di un simile essere misterioso interessato a rapire proprio noi, fino ad arrivare al momento in cui abbiamo preso la decisione di non crederci più (con nostra grande liberazione!).
Superata la paura dell’uomo nero, abbiamo tuttavia continuato ad avere paura dei nostri pensieri, di scenari ipotetici che non si sono ancora verificati, di possibili sofferenze future nel caso in cui agissimo quel determinato comportamento. L’essere umano riesce infatti a soffrire o ad avere paura anche per cose astratte che esistono solo nella sua testa, che non si sono ancora verificate o che magari non si verificheranno mai: proprio perché, a differenza degli animali, egli ha la capacità di “immaginarle”, cioè di rappresentarle nella sua mente; “se succede questo, soffrirò”, “se faccio quest’altro, succederà quello”…continui pensieri e previsioni di quello che potrebbe succederci nel futuro scatenano in noi emozioni così forti (rabbia, paura, dolore), come se gli eventi immaginati li avessimo vissuti davvero.

Nella nostra mente, questi pensieri si fondono con la realtà, ne assumono la stessa forza e concretezza. Per riuscire ad uscire dalla potente influenza che essi esercitano sul nostro modo di comportarci (impedendoci ad esempio di fare delle scelte per noi più appaganti) può essere utile provare a dialogare con noi stessi:
- Quanto è probabile che questa cosa succeda? Che prove ho?
- Nel caso succeda, quali strumenti ho, o posso acquisire, per fronteggiarla?
- Nel caso succeda, sarà così terribile come me lo immagino? È davvero molto più di quanto io sia in grado di sopportare?
Ed infine, la domanda forse più importante di tutte:
4. Posso decidere di non crederci?
Esattamente come abbiamo fatto a un certo punto con l’uomo nero, possiamo decidere noi se e quanto le nostre valutazioni o pensieri ci limitino nel raggiungere gli obiettivi che per noi hanno valore.
Infine, possiamo sempre decidere di non crederci.
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